«Della mia vita rifarei tutto, sia il percorso sportivo sia quello chirurgico, perché in tutte e due le situazioni ho imparato tanto. Il dottor Caviglia mi ha fatto rivivere: ringrazierò per sempre lui e tutta la sua équipe. Mi ero bloccato e mi hanno fatto rinascere»
Il taekwondo è un’arte marziale di origine coreana che combina tecniche di difesa personale ed esercizi che possono riguardare persino filosofia e meditazione. È anche lo sport che, lo scorso 24 luglio per merito del giovane Vito Dell’Aquila, ha regalato all’Italia la prima di 10 medaglie d’oro olimpiche. Ed è soprattutto la disciplina del protagonista della nostra “Storia di cura”, che col taekwondo ha cambiato la propria vita, indossato la maglia Azzurra e trasferito la sua passione a due figli e altrettante palestre.
Francesco Lo Iacono esplode i suoi calci a due metri d’altezza con assoluta scioltezza e facilità. E se a giurarlo seduto accanto a lui non ci fosse il dottor Salvatore Caviglia, ortopedico di Humanitas Gradenigo, risulterebbe davvero difficile credere che il 48enne taekwondista siciliano ha, alle estremità di due gambe scattanti e potenti, altrettante protesi d’anca, impiantate proprio dal dottor Caviglia nel 2007 e nel 2017.
«Ho cominciato con il taekwondo quando avevo 13 anni – racconta Francesco -, quasi per caso, perché al tempo era sicuramente più facile giocare per strada che andare in palestra. Invece ho avuto la fortuna di incontrare un Maestro che mi ha coinvolto nel modo giusto insegnandomi a raggiungere i risultati attraverso il sacrificio. Impegno e voglia di riscatto si sono tradotti in attività agonistica a livello regionale, nazionale e internazionale con i colori Azzurri. Ho acquisito una forza interiore che mi ha cambiato. Lo sport mi ha aiutato e migliorato, ma ha altresì favorito l’usura delle mie anche, fatte in un certo modo e penalizzate da allenamenti obsoleti che oggi, per fortuna, non si fanno più».
L’anca sinistra è la prima a dare importanti segnali di sofferenza ed è lì che entra in scena il dottor Caviglia: in un incontro casuale d’estate a Bagheria, la Città delle Ville raccontata da Giuseppe Tornatore e luogo d’origine dei due protagonisti della nostra “Storia di cura”. «L’ho visto scendere dall’auto con fatica e ho subito capito la situazione – ricorda lo specialista di Humanitas Gradenigo -, così gli ho parlato a muso duro: “Oggi hai 33 anni, zoppichi e sei invalido, hai due figli e fai una vita che non ti piace. Una protesi d’anca dura circa vent’anni: tu vuoi vivere bene dai 33 ai 53 o dai 50 ai 70 anni? Tra vent’anni ci rivedremo, farai l’eventuale reimpianto e ricomincerai, ma se aspetti ancora rischi di rovinarti la vita”, gli ho detto, da amico ancor prima che da medico».
«Io non avevo capito la gravità della situazione e aspettavo, bloccato da chi mi sconsigliava l’operazione. Ma intanto non potevo più fare attività fisica e sopportavo un dolore costante e profondo – aggiunge Francesco -. Il dottor Caviglia mi ha visto e ha letto perfettamente la situazione usando un’immagine legata al mio lavoro di ricambista: “Pensa a un pezzo dell’auto, quando si usura si cambia. Nessuna auto è eterna, nessuna dura tutta la vita”, mi ha fatto notare. Ho riflettuto pochi minuti, ho detto sì e sono andato a staccare il biglietto aereo». L’intervento, eseguito all’ospedale di Savigliano (dove al tempo lavorava il dottor Caviglia), ha dato il risultato sperato e ha subito consentito al giovane di riprendere il suo sport e di continuare con l’insegnamento dello stesso: alla palestra di Bagheria («Oggi ha 150 ragazzi dai 4 ai 18 anni e accoglie pure chi ha disabilità e problemi di deambulazione») si aggiunge quella di Lampedusa che nasce per i giovani rifugiati e presto diventa uno spazio di crescita anche per i ragazzi del posto. «Sono entrambe affiliate alla FITA, la Federazione Italiana Taekwondo che ci supporta e ci ha anche portato a Beirut in missione umanitaria dai bambini orfani dei militari libanesi», dove Francesco Lo Iacono è andato accompagnato dai figli Manuel (26 anni) e Carola Amelie (14), ambedue praticanti il taekwondo.
L’anca è il punto di forza di questa disciplina e quando pure quella destra comincia a dare segni di cedimento, Francesco non ci pensa su due volte e torna sull’aereo di dieci anni prima («È venuto a Torino come se dovesse andare a giocare una partita di tennis», scherza il dottor Caviglia che lo opera nell’estate del 2017, questa volta all’Humanitas Gradenigo).
«Della mia vita rifarei tutto, sia il percorso sportivo sia quello chirurgico, perché in tutte e due le situazioni ho imparato tanto – osserva Francesco -. Il dottor Caviglia mi ha fatto rivivere. Ringrazierò per sempre lui e tutta la sua équipe. Mi ero bloccato e mi hanno fatto rinascere. Sono stati momenti bellissimi che mi hanno permesso di conoscere persone splendide e di apprezzare cose che di solito non consideri, sul senso della vita e sui rapporti umani. Ogni volta che torno qui per una visita di controllo ci penso e mi emoziono: mi vengono in mente i volti dei pazienti, di medici, infermieri e operatori socio-sanitari che hanno sempre dato il meglio facendomi sentire a casa mia. Penso a cosa riesco a fare adesso e a cosa non avrei potuto fare senza il loro aiuto. Oggi compio movimenti di rotazione a due metri di altezza con due protesi diverse e un’uguale resa: quanto faccio con la gamba destra lo faccio anche con la sinistra, il gesto atletico è uguale ed è merito dell’intuizione e dell’abilità chirurgica del dottor Caviglia». Un insegnamento che l’uomo ancor prima dell’atleta cerca di trasferire agli altri: «Non bisogna aver paura. Lo dico a tutti e cerco di dare forza alle persone che hanno il mio stesso problema. Si ricomincia ed è bellissimo».
«Francesco è davvero un esempio virtuoso per gli altri pazienti – conferma il dottor Caviglia -. Talvolta mostro i suoi video, altre volte lo chiamo in diretta affinché testimoni la sua situazione. Così come dall’ambulatorio porto i miei pazienti in palestra per fare veder loro chi è stato operato quattro giorni prima ed è già sulle sue gambe». La conclusione è di Francesco: «La positività è un’espressione di fiducia, nel lavoro e nello sport. Chi fa sport è abituato ad andare verso il traguardo e se riceve gli adeguati stimoli non si ferma. A me ha aiutato ad avere più controllo e conoscenza del mio corpo e ha dato ancora maggiore disciplina nella pratica del taekwondo».
SALVATORE FELICE CAVIGLIA, ortopedico
FRANCESCO LO IACONO, paziente