«Per noi la cura è aiutare una persona a vivere autonomamente, a sopportare le difficoltà, ad accettare i difetti. In altre parole ad essere felice, nonostante la malattia».

Mirna Esposito, Catia Zandon, Fiorenza Basta

«Per me, la cura è aiutare una persona a vivere in autonomia e in maniera più felice possibile. Felice nel senso di sopportare meglio quelli che possono essere i difetti della sua malattia. La malattia, in fondo, è un “difetto”. Bisogna imparare a gestirlo, quando possibile, per poter vivere felicemente».

Non è stato facile strappare Catia Zandon dai suoi ambulatori per “costringerla” a parlare di sé, del suo lavoro e delle sue colleghe. Catia vanta 40 anni di esperienza («Nel mio lavoro mi sono divertita tantissimo, anche se dopo così tanto tempo vivo con poca serenità certi problemi generali legati alla mia professione», dice) ed è una di quelle presenze che in ospedale paiono avere la capacità di sdoppiarsi, talvolta triplicarsi. La trovi pressoché ovunque e spunta laddove è appena sorto un problema, quasi sempre per risolverlo. Ha lavorato per 38 anni in reparto («Dove il tipo di relazione con il paziente è molto intensa, dura 24 ore su 24 e si completa con la presenza dei parenti»), poi ha scelto gli ambulatori («Il paziente ambulatoriale conserva giustamente autonomia e indipendenza e ha perciò un livello di collaborazione e di richieste di tutt’altro tipo. A volte è più esigente e, di conseguenza, anche più critico»), fino a quando la prima ondata Covid l’ha costretta a tornare in reparto: «Mi sono ritrovata a lavorare con un gruppo stabile di infermieri che, per necessità, proveniva da servizi molto diversi. E mi sono trovata molto bene, perché in quel momento dovevamo tutti ritrovare una dimensione di assistenza che non riconoscevamo da anni o che addirittura non avevamo mai conosciuto».

Al suo fianco, in ambulatorio come in reparto, c’è il gruppo di infermiere che vede nella sua naturale autorevolezza l’esempio da seguire e imitare. Mirna Esposito e Fiorenza Basta sono due di loro: in perenne movimento tra quegli ambulatori dell’ospedale che, in primis, si prendono cura di pazienti stomizzati e perciò impegnati a gestire in modo nuovo una parte molto intima della loro vita: «Prima con terzi, vale a dire con noi. E poi, se ci riescono, in autonoma o con un caregiver», spiegano. Massima attenzione al paziente e rapporto speciale con le colleghe: «Lavorare insieme in ospedale comporta una relazione che non è amicale, ma è molto molto intima perché si lavora fianco a fianco per molte ore. A volte avere troppa confidenza con i problemi altrui rende più difficile la gestione della situazione professionale, ma sono tutte relazioni molto arricchenti e che ci aiutano a fare sempre meglio», chiude con il solito sorriso Catia Zandon.

 

CATIA ZANDON, coordinatrice infermieristica

MIRNA ESPOSITO e FIORENZA BASTA, infermiere