«Non ci sono infermieri, medici, Oss: ci sono persone che si prendono cura di altre persone».

Manuela Costamagna

 

Il 20 giugno di un anno fa il canale Sky trasmette lo spot “Mentre eravamo via”: la voce di Alex Del Piero accompagna le immagini del primo, drammatico semestre dell’anno. Si susseguono i volti di George Floyd, Sergio Mattarella, Sarah Hijazi e poi il suo: quello di un’infermiera che si strappa il cerotto dal naso, mostrando i solchi rossi sulla pelle, le ferite di una guerra chiamata pandemia. L’infermiera si chiama Manuela Costamagna e questa è la sua storia di cura.

In Humanitas Gradenigo, dal 2015 Manuela è coordinatrice infermieristica del reparto di Urologia: in anni di attività ha visto pazienti arrivare, essere operati e tornare sereni alla propria vita. Un reparto sempre tranquillo, insomma, che nel giro di ventiquattr’ore s’è trasformato in reparto Covid: da quel momento l’ex reparto di Urologia, di ordinario e regolare non ha avuto più niente.

Nessuno può affrontare senza paura qualcosa di cui non ha conoscenza, nemmeno una professionista esperta come Manuela. Di fronte all’ignoto, ogni ruolo è caduto: non c’erano infermieri, non c’erano medici, non c’erano Oss, c’era solo un grande “noi” fatto di persone che si prendevano cura di altre persone. Dietro alle tute da astronauta che hanno popolato le immagini dei telegiornali e che hanno annientato l’identità singola dell’individuo, si è costruita un’identità ben più forte: un gruppo coeso, legato dal filo impercettibile, ma saldo, della collaborazione.

Gli intensi occhi verdi di Manuela e i suoi capelli rosso acceso sembrano rappresentare il contrasto di emozioni che il Coronavirus ha portato tra le mura dell’ospedale: la paura profonda ha generato adrenalina, benzina infallibile per resistere a quattordici ore di lavoro, ma anche conforto, sentimento intimo e sottile che nutre l’animo. La solitudine è stato il prezzo assurdo che tutte le persone coinvolte nella lotta al Coronavirus – pazienti e non – hanno dovuto scontare. Manuela è stata infermiera ma anche famiglia dei suoi malati: si prendeva cura del loro aspetto clinico, del loro umore, del loro contesto e rete sociale, della loro sfera relazionale. Forse, proprio per questo, nella mente di Manuela rimane indelebile il momento in cui in ospedale sono arrivati i tablet: uno schermo che ha significato tantissimo, perché dopo giorni o settimane di annebbiamento, i pazienti riscoprivano i volti di figli, mogli, mariti, madri, padri, ritrovando un primo sorriso o lasciandosi andare ad un pianto liberatorio. Qualcosa tornava reale, nella surrealtà dell’emergenza.

Emergenza che non finiva in corsia. Racconta Manuela: «Anche io ho usato le videochiamate per mesi: è stato l’unico modo per vedere i miei figli. In questo reparto, in questo mondo che non potevamo immaginare, ci siamo trovati tutti dalla stessa parte». E i suoi occhi verdi, pur nella commozione, sanno ancora sorridere.

 

MANUELA COSTAMAGNA, coordinatrice infermieristica