«Abbiamo lavorato insieme in corsia e ci siamo ritrovati quando l’emergenza si era attenuata. I giovani medici, seduti in cerchio, hanno raccontato e si sono raccontati, nel segno della condivisione e dell’ascolto profondo e reciproco. È il lavoro più bello del mondo, ragazzi non perdete mai questo entusiasmo».
Se chiedete a chi lavora in ospedale quale sia stato il momento peggiore dell’emergenza Covid-19, molto probabilmente vi risponderà così: l’arrivo della seconda ondata. Sì, perché se nella primavera del 2020 si lottava anima e corpo contro un nemico sconosciuto, nell’autunno dello stesso anno si era già consapevoli della forza di quel nemico e di quanto fosse ostico: riaprire i reparti Covid-19, ricominciare la disperata conta di ricoveri e decessi, ritornare all’alienazione di giornate passate in corsia bardati come palombari, ripetere l’atto di una battaglia dalla durata e dall’intensità tutte da scoprire.
C’era tutto questo negli occhi di chi, nell’ottobre di un anno fa, percorreva i corridoi di Humanitas Gradenigo e incrociava le tante persone in predicato di ripiombare nella stessa dimensione di sei mesi prima. Tra loro anche un gruppo di sei giovani medici, di lì a poco fiondati in una situazione tanto inedita quanto carica di stimoli professionali e umani. Un’esperienza diventata ancora più significativa per mezzo della condivisione, vissuta durante e dopo quelle lunghe settimane di pura trincea. Assieme ai medici di Pronto soccorso e Medicina interna (le dottoresse Carla Olivetti e Federica Ghione, i dottori Mauro Valle, Claudio Taliano e Giovanni Musso sono i nomi più ricorrenti nei loro racconti) e a quelli di altri reparti “prestati” all’emergenza, come il dottor Ferdinando Garetto, medico palliativista di Humanitas Gradenigo dal 2001.
«Abbiamo lavorato insieme in corsia e ci siamo ritrovati quando l’emergenza si era attenuata – racconta proprio il dottor Garetto -. I sei giovani medici, seduti in cerchio, hanno raccontato e si sono raccontati, nel segno della condivisione e dell’ascolto profondo e reciproco». Il dottor Garetto li definisce: «La “generazione nuova” di questo incredibile periodo Covid-19 – dice -. Medici neo-laureati o al primo anno di specializzazione che hanno tutti accolto con slancio generoso la sfida di mettersi in gioco da subito, in nome di un giuramento appena pronunciato, ma mai tanto vero come questa volta. Dai libri sono passati direttamente alle ambulanze, al Pronto soccorso travolto dalla pandemia, alle Terapie intensive e ai reparti Covid».
Come la dottoressa Elena Ferrari, 26 anni, laureata alla Sapienza di Roma e specializzanda di Hunimed, l’Università di Humanitas: «Ci siamo ritrovati in reparto con maggiori responsabilità. Gestire tanti pazienti in quella situazione è molto diverso dalla routine di reparto, dimetterli quando le condizioni lo permettevano, chiamare i parenti a casa per aggiornarli sulle loro condizioni. Abbiamo imparato a fare in autonomia anche tutto questo». Pensiero condiviso dalla dottoressa Maria Chiara Montalbano, 27 anni, laureata all’Università degli Studi di Torino, un futuro nell’Ematologia: «È stata una grande esperienza anche umana, confrontarsi col dolore, con chi soffre e con le loro famiglie. Abbiamo dato tutte noi stesse, sempre. La parte più difficile è stata approcciarsi al paziente che stava molto male: non dovevi né terrorizzarlo né illuderlo, idem con i parenti a casa. Ho imparato a parlare con la famiglia al telefono». Chiamare o videochiamare, l’azione nuova e necessaria del periodo di emergenza, come ribadito dalla dottoressa Elena Cavallone, 25 anni, laurea a Torino e la Cardiologia nel mirino: «La videochiamata è stata importante perché permetteva alle famiglie di guardare in faccia il malato. È stato decisivo anche il lavoro svolto tutti i giorni nei reparti con fisiatri e fisioterapisti, la mobilizzazione precoce ha aiutato a guarire prima». Guarigione che rappresentava un elisir di fiducia per i giovani medici: «È stato impattante, ma molto bello. Abbiamo imparato tantissimo, ci siamo sentiti migliorati e orgogliosi», aggiunge il dottor Leonardo Lombardi, 28 anni, laureato a Trieste e specializzando di Hunimed.
Un’esperienza nuova, capace però di rimandare anche ad aspetti inediti e dolorosi: «Quella di un paziente visto prima in reparto e poi in Terapia subintensiva dove, poche ore più tardi, è spirato davanti ai miei occhi», racconta il dottor Salvatore Giarrizzo, 26 anni, laureato alla Sapienza e anche lui specializzando di Hunimed. «Quanto è stato importante il gruppo in quei momenti! – aggiunge -. E quanto ci hanno aiutato gli infermieri a gestire un momento per noi ancora sconosciuto». Un’esperienza nuova anche per chi era appena arrivato da molto lontano, come la dottoressa Natalia Afonso De Souza Freitas, 29 anni con laurea a Buenos Aires e in Humanitas Gradenigo dopo aver affrontato la prima ondata Covid-19 negli ospedali di Argentina e Brasile: «Là non c’era nulla – racconta -. Solo tanta paura e racconti che sapevano di tragedia. Qui mi sono sentita molto più tranquilla, anche se mettere il paziente in palliazione è stata la difficoltà maggiore: ho pianto più di una volta, ma ho trovato qualcosa di bello che prima non conoscevo».
«La vera scoperta del Covid è stata la cura – sottolinea il dottor Garetto -. Anche cura reciproca, che ha rivestito un aspetto decisivo. Medici, infermieri e operatori socio-sanitari, tutti insieme». «Il gruppo è stata la salvezza», conferma la dottoressa Montalbano. «Parlarsi è risultato fondamentale – rimarca la dottoressa Cavallone -, anche con persone che vedevi solo bardate di tutto punto e che in spogliatoio stentavi a riconoscere».
Un percorso lungo e articolato, sintetizzato ancora una volta dal dottor Garetto: «L’impatto con una realtà nuova, la paura “clinica” (“Sarò in grado di prescrivere le terapie giuste, di identificare la diagnosi corretta?”), la rabbia da gestire, le scelte difficili da prendere, l’impatto dei decessi repentini. Ma in tutto questo resta soprattutto il “dono” che questa squadra di giovani colleghi è stata per tutti noi, in una reciprocità che è stata percepita e condivisa. È il lavoro più bello del mondo, ragazzi non perdete mai questo entusiasmo».
FERDINANDO GARETTO, medico Cure palliative
NATALIA AFONSO DE SOUZA FREITAS, specializzanda in Anestesia e Rianimazione
ELENA CAVALLONE, specializzanda in Cardiologia
ELENA FERRARI, specializzanda in Medicina d’emergenza-urgenza
SALVATORE GIARRIZZO, specializzando in Medicina d’emergenza-urgenza
LEONARDO LOMBARDI, specializzando in Medicina d’emergenza-urgenza
MARIA CHIARA MONTALBANO, specializzanda in Ematologia