«Allenandomi con mio padre l’ho sempre visto come un atleta: non mi è mai capitato di pensare né alla malattia che ha avuto né a come l’ha affrontata». «Pedalando tra i boschi e correndo sul campo di gioco, mi concentravo e non pensavo più alla malattia: era come se venissi ripulito dai pensieri negativi che, talvolta, mi arrivavano. In questo modo, ti senti vivo e vai oltre il momento di crisi».

David e Valter Rossi

Nell’estate del ritorno delle “notti magiche”, dell’Inno di Mameli suonato a mo’ di tormentone e delle maglie azzurre – olimpiche e paraolimpiche – capaci di correre più veloci di qualsiasi altra sulla pista di Tokyo, in quest’estate che ha riportato il cuore degli italiani a battere forte per le tante vittorie in campo sportivo, c’è chi ha continuato a fare ciò che sa fare bene da molto tempo: correre e vincere, a dispetto degli anni e della malattia.

Valter Rossi ha 64 anni e nel 2010 ha affrontato un tumore del tratto gastroenterico: lievi disturbi («Pensavo fosse colpa della postura tenuta in sella, visto che al tempo facevo mountain bike e granfondo, gare da almeno 120 chilometri», dice) avevano suggerito al medico di famiglia l’esame approfondito capace di rivelare la diagnosi tumorale, seguita da un intervento chirurgico e dai necessari cicli di chemioterapia. In quei giorni, Valter era già uno sportivo coi fiocchi, bulimico di pedali e pallone, un “fachiro” dell’attività fisica che all’improvviso si trovava di fronte all’ostacolo più tosto, piazzato nel bel mezzo del sentiero della sua vita di uomo, padre di due figli e sportivo.

«La motivazione interiore è fondamentale. Non è una sensazione, bensì un dato di fatto. Lo sport, in chi è uno sportivo di base, gioca un ruolo determinante. I pazienti ne sentono il bisogno e non devono abbandonarlo». Il dottor Davide Ottaviani, proprio da undici anni oncologo di Humanitas Gradenigo, lo afferma con sicurezza e riconosce che il suo paziente ne è l’esempio vivente: «Non si fermava mai, neanche quando aveva addosso il CVC (il catetere venoso centrale, funzionale ai farmaci chemioterapici) e mi toccava sgridarlo bonariamente: “Fermati un paio di giorni”, gli dicevo, ma non c’erano santi».

No, perché Valter si limitava, ma a modo suo: allenamento in bici al pomeriggio e partita di calcio la sera («Ma se avevo addosso il catetere, facevo solo l’arbitro»). Così tutti i giorni: «Era per occupare il cervello», aggiunge, senza mai fermarsi. Pedalando tra i boschi e correndo sul campo di gioco entrava nella dimensione agonistica: «Mi concentravo e non pensavo più alla malattia, era come se venissi ripulito dai pensieri negativi che, talvolta, mi arrivavano quando ad esempio caricavo la bici in macchina. Certo che c’erano momenti difficili, ma si superavano. Se ti lasci andare, rischi di andare dal letto alla poltrona e ritorno, ed è la fine. Invece, in questo modo, ti senti vivo e vai oltre il momento di crisi».

Un autentico percorso di cura che diventa ancora più brillante quando arruola David, il figlio calciatore del paziente che non si ferma mai. «È cominciato tutto per caso», spiega il ragazzo, 27 anni e fisico da atleta. «Avevo un preparatore atletico per la mia attività di calciatore, mio papà mi ha affiancato e abbiamo subito scoperto che andava come un treno». Padre e figlio diventano inseparabili: il lunedì e il mercoledì si allenano in pista al “Primo Nebiolo” («Un posto pieno di energia con atleti di tutte le età»), il sabato mattina lo riservano al calcio. E martedì e giovedì? «Papà si dedica ai pesi, può forse rimanere con le mani in mano?».

Il connubio tra i due Rossi genera un profluvio di medaglie, ogni corsa è un podio, quasi sempre sul gradino più alto. Sui 100 metri piani Valter vanta un primato personale di 12 secondi e 36 centesimi, stabilito nel 2017 in Nuova Zelanda, dove ha vinto la medaglia d’oro dei World Master Games (quelli che nel 2013 erano stati ospitati da Torino) battendo anche gli avversari a stelle e strisce. In quegli stessi Giochi ha pure segnato il gol che ha dato la medaglia di bronzo alla Nazionale italiana di calcio. «Quando mi capita di giocare con gli ex di Juventus e Torino mi chiedono: “Ma tu dove giocavi? Non mi ricordo di te”. Io rispondo che giocavo nei tornei del bar sotto casa o in quelli dell’assicurazione. Con la mia velocità, a 64 anni faccio davvero la differenza». Racconta di tante gare che sono altrettante medaglie e di tanti fine settimana passati sulle piste di tutta Italia, talvolta d’Europa o del mondo. «Non è mia abitudine raccontare agli altri di avere avuto il tumore, chi lo viene a sapere rimane sempre molto sorpreso».

«Allenandomi con mio padre l’ho sempre visto come un atleta», aggiunge ancora David. «Non mi capita mai di pensare né alla malattia che ha avuto né a come l’ha affrontata. In fondo, si è sempre comportato come se non avesse avuto niente e io mi sono adeguato. Vederlo andare così forte a 64 anni mi dà soddisfazione e mi serve da stimolo, per non fare brutta figura devo dare ancora di più», sorride.
«Ero già fatto così, la malattia ha messo la ciliegina sulla torta del mio agonismo», dice quasi scusandosi Valter Rossi. «Ma oggi sei guarito, hai persino concluso il follow up! – lo incalza il dottor Ottaviani –. Di fronte a queste situazioni, io non posso che inchinarmi e applaudirti. Il medico può fungere da stimolo e far sentire la sua presenza, ma è il tuo lavoro a fare la differenza e a diventare un grande esempio per gli altri pazienti».

DAVID e VALTER ROSSI, paziente