Raccontaci la tua storia
L’ospedale
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Storie di Cura
Gabriella Manavella e Aldo Montanaro
«Per gli infermieri, quella dei vaccini è stata un’avventura straordinaria. Non bisogna fare l’errore di pensarlo come un atto tecnico che inizia e finisce con l’inoculazione di un liquido. È invece il risultato di un gioco di squadra, dove tante figure professionali fanno sentire tutti in sicurezza»
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Salvatore Caviglia e Francesco Lo Iacono
«Della mia vita rifarei tutto, sia il percorso sportivo sia quello chirurgico, perché in tutte e due le situazioni ho imparato tanto. Il dottor Caviglia mi ha fatto rivivere: ringrazierò per sempre lui e tutta la sua équipe. Mi ero bloccato e mi hanno fatto rinascere»
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Vito Palandra
«Ho iniziato nel 1991 nei reparti dell’ospedale in veste di ausiliario, poi ho seguito i corsi di formazione interna e sono diventato un Operatore socio-sanitario. In sala operatoria, chiacchiero molto con i pazienti, faccio la battuta anche più ridicola del mondo e cerco di non farli sentire in ospedale. Provo a metterli a loro agio, scaricando la tensione».
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Ferdinando Garetto e sei giovani medici
«Abbiamo lavorato insieme in corsia e ci siamo ritrovati quando l’emergenza si era attenuata. I giovani medici, seduti in cerchio, hanno raccontato e si sono raccontati, nel segno della condivisione e dell’ascolto profondo e reciproco. È il lavoro più bello del mondo, ragazzi non perdete mai questo entusiasmo».
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Maria Luisa Longo e Davide Ottaviani
«Diventare “Ironman” (3,86 km di nuoto, 180 km in bicicletta e 42 km di corsa) era un sogno che si è realizzato. Per me lo sport è filosofia di vita: avere la forza di tagliare un traguardo, avere un obiettivo, combattere, arrivarci e mai arrendersi».
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Ilaria Messuti
«Cogliere la parte umana di chi mi sta di fronte è la parte che mi piace di più del mio lavoro. Dedicarsi un po’ di più alla spiegazione e all’ascolto rende il paziente più partecipe e anche più disponibile a fidarsi e a curarsi. Il medico deve essere bravo a inserirsi tra le aspettative e i dubbi del paziente»
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David e Valter Rossi
«Allenandomi con mio padre l’ho sempre visto come un atleta: non mi è mai capitato di pensare né alla malattia che ha avuto né a come l’ha affrontata». «Pedalando tra i boschi e correndo sul campo di gioco, mi concentravo e non pensavo più alla malattia: era come se venissi ripulito dai pensieri negativi che, talvolta, mi arrivavano. In questo modo, ti senti vivo e vai oltre il momento di crisi».
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Chiara Chiumiento
«Per me la cura è accogliere l’altra persona considerandola come tale, rispettandone valori e peculiarità, accompagnandola nel percorso di malattia e di guarigione. Il mestiere di infermiere richiede passione e grande forza di volontà: la voglia di curare gli altri non ti viene così, o ce l’hai o non te la puoi costruire»
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Michele Quinto e Pino Oliveri
«Hai presente la carta “Imprevisti” del Monopoli? Ecco, noi la peschiamo in continuazione, è una componente del nostro lavoro quotidiano. Il nostro paziente è l’ospedale: va accudito dalla A alla Z sapendo che curarlo bene fa star meglio tutti, pazienti e personale»
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Mohammad Ayoubi Khajekini
«Sono arrivato in Italia nel 1979 e ho cominciato a frequentare il Gradenigo nel 1993, medico volontario con borsa di studio. Dopo tanti anni, questo ospedale è come casa mia e io cerco di fare bene il mio lavoro, sorretto dal progresso continuo della medicina».
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Giuseppe Gradenigo
L”Ospedalino Gradenigo” aprì le sue porte il 29 gennaio 1900 per mano del professor Giuseppe Gradenigo, uno dei pionieri mondiali dell’Otorinolaringoiatria: «È stato il 'Maestro' nel vero senso della parola. Le sue parole sono state per gli alunni un invito alla ricerca della verità».
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Giorgio Carbone
«Dobbiamo partire dall’uomo, che prima di essere paziente è persona. Il suo mondo e la sua rete sociale sono il punto di partenza per arrivare alla cura».
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Elena Giubellino
«In ogni vaccino preparato rivivo un giorno passato in ospedale alla ricerca di una cura che sembrava non arrivare mai, rivedo il nostro lavoro, i mesi passati pensando a un giorno migliore».
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Carlo e Chiara Ferrari
«Un paio di scarpette rosse sotto al letto di un paziente, le stesse che usavo io per fare sport: così ho conosciuto Carlo e così è iniziata la nostra corsa verso un unico traguardo, la cura».
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Manuela Costamagna
«Non ci sono infermieri, medici, Oss: ci sono persone che si prendono cura di altre persone».
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Edoardo
«Per me la cura è supportare il paziente in tutto e per tutto: è una riabilitazione alla vita, con momenti drammatici e momenti umani, di socialità e divertimento».
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Tea Giobbio e Giorgio Matteo Berto
«Noi prendiamo letteralmente per mano il paziente, fino alla guarigione. Le mani di Tea ora possono di nuovo operare gli occhi dei pazienti. Questa è la cura: percorsi diversi che si intersecano per lo stesso motivo, il benessere delle persone».
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Martina Elia e Stefania Fabbri
«Nel nostro lavoro, abbiamo la fortuna di relazionarci con le persone e costruire legami che vanno oltre il rapporto professionale: sono storie di cura che portiamo con noi, anche fuori dall’ospedale».
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Bruna Giugno
«Con il Covid è stato come se fosse scoppiata la guerra. In questa battaglia, ho indossato la mia armatura per garantire a ogni paziente il miglior percorso di cura all’interno dell’ospedale».
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Servizio clienti
«Distogliere lo sguardo dal computer e dire: "Sono qui per te, di cosa hai bisogno?" vuol dire andare oltre, pensare al bene della persona. I pazienti devono potersi fidare di noi, come poi si fideranno di chi li assisterà nel loro percorso».
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Massimo
«Quando la prevenzione diventa cura, il rapporto con il tuo medico si trasforma: in un giovedì sera di ottobre, ho capito che la persona che avevo davanti avrebbe cambiato la mia vita».
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Claudio e Lucio Buffoni
«Il rapporto tra paziente e medico è un atto di fede: il tempo trascorso insieme è una cura, un punto di vista diverso con cui confrontarsi, un percorso di crescita da condividere».
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Cecilia Deiana e Piero Mandelli
«Per noi in Pronto soccorso la cura significa certamente urgenza, ma è soprattutto un percorso terapeutico ed emotivo che annulla ogni distanza con il paziente e la sua famiglia».
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Team tamponi
«Una biologa, un otorino e un’infermiera: veniamo da esperienze diverse ma questa pandemia ci ha reso un’unica squadra. Insieme, abbiamo unito le competenze per prenderci cura dei sentimenti più fragili: la paura e la solitudine».
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Monica Seminara
«C’è sempre qualcosa da fare, anche quando sembra che non ci sia più nulla da fare. Il tempo che tu spendi come medico è il tempo che serve al paziente per migliorare la sua condizione. È il senso di utilità che ripaga di tutte le fatiche».
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Tiziano e Claudio Filippa
«La cura è fiducia. Da paziente, in ospedale mi sono sentito accudito in tutti i modi possibili e ho trovato un amico, oltre che un medico. E mi sono fidato, completamente».
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Mirna Esposito, Catia Zandon, Fiorenza Basta
«Per noi la cura è aiutare una persona a vivere autonomamente, a sopportare le difficoltà, ad accettare i difetti. In altre parole ad essere felice, nonostante la malattia».
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Anna Maria e Raffaella
«In genere è la madre a vedere la figlia venire alla luce. A un certo punto della vita, entrambe abbiamo avuto problemi agli occhi e siamo state operate lo stesso giorno: ci hanno ridato la vista e ci hanno ridato la luce, insieme».
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Luigi Laudari
«L’operazione è un momento molto delicato, che si porta dietro ansie e paure. In un certo senso, noi anestesisti siamo gli angeli custodi dei pazienti, perché siamo con loro nei momenti in cui sono più fragili e vulnerabili. Li proteggiamo mentre dormono e li salutiamo al risveglio».
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Antonio e Gianpaolo Ferrero Regis
«La nostra è una storia di cura che dura da venticinque anni e che ha visto succedersi quattro generazioni sul lettino operatorio. È un rapporto profondo di fiducia, di scambio e di amicizia, che va oltre il legame tra medico e paziente. È una grande famiglia allargata».
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